venerdì 10 agosto 2007

La ditta di autotrasporto Arcese fa guidare camionisti che sulla carta sono in ferie o in malattia. Cronotachigrafi contraffatti, certificati di malattia fasulli, orari di lavoro prolungati, ritorsioni su chi chiede legalità: una storia di sopraffazioni sindacali e di pericoli per gli utenti della strada.
n° 14 del 10.7.2004


L
a notizia, di qualche giorno fa, che a Petru Dragus è stato restituito il posto di lavoro alla guida dei camion di Arcese è buona e bella. E non solo per Petru, romeno, da molti anni in Italia e camionista di professione. La notizia è buona e bella anche per gli altri camionisti di Arcese e forse anche per i circa tremila camionisti del Trentino. Il Tribunale di Rovereto, dando ragione a Petru, ha detto chiaro e tondo che gli argomenti di Arcese per giustificarne il licenziamento, il 10 maggio scorso, non avevano fondamento alcuno. Null’altro che pretesti per liberarsi di un lavoratore che non ha esitato a combattere una battaglia di giustizia per sé e per tutti i dipendenti Arcese.
A dare valenza di carattere generale alla battaglia del camionista romeno è il quadro che si ricava guardando dentro i rapporti di lavoro all’Arcese. In verità è da molto tempo che, con sempre più forza, arrivavano dai camionisti segnalazioni di abusi e di angherie di ogni tipo. Mentre nell’ottobre scorso centinaia di autisti si sono ritrovati delle trattenute in busta paga per partenze in ritardo rispetto all’orario previsto, nel mese di dicembre risultavano avviati 730 provvedimenti disciplinari nei confronti di altrettanti lavoratori Arcese e solo per le tre filiali italiane di Arco-Mori in Trentino, Sommacampagna nel Veneto e Gerbole di Volvera nel Piemonte. Ma è dal dicembre scorso che le condizioni di lavoro, a cui l’azienda di Eleuterio Arcese sottopone i camionisti, sono apparse in tutta la loro infernale realtà.
Come far viaggiare ore e ore i camionisti oltre i tempi consentiti? È’ presto detto : vengono tenuti alla guida fino al limite delle ore consentito dalla legge, poi, da un finto attestato di ferie o di malattia fornito dall’Azienda, risulta che sono tornati al lavoro proprio in quel momento. "Sono rientrato al lavoro da poco più di un’ora - dirà uno dei nostri camionisti al poliziotto che controlla - ecco il certificato". E si supera il controllo.
E se il poliziotto di turno si insospettisce per la faccia stanca del camionista e per gli occhi non proprio riposati? Già, basta controllare il cronotachigrafo di cui è dotato ogni camion per verificare i tempi di guida. Fregata l’Azienda? No, fregato il poliziotto. Come? Diabolico Arcese: ha fornito i camionisti di doppi dischi personali, dischi contraffatti che danno la prova di un viaggio appena cominciato… E il rischio di addormentarsi per la stanchezza, di andare fuori strada, di essere pericolosi per sé e per gli altri utenti della strada? Per Arcese queste sono banalità di cui non tenere conto.
Non la pensano così i camionisti, anche se la paura di ritorsioni è molto forte e le ritorsioni stesse possono essere di molti tipi. Ne sanno qualcosa quelli che hanno provato a ribellarsi a queste illegalità che trasformano il lavoro in un inferno. Lo stesso sindacato, che pure ha in mano le prove, dischi contraffatti e certificati di malattia fasulli, davvero può pensare di cavarsela solo con gli esposti-denunce? E’ del tutto evidente che qui c’è dell’altro, se le denunce non hanno effetto alcuno e non solo nei confronti di Arcese. La denuncia, per esempio, contro la Fait Trasporti di Rovereto all’Ispettorato del Lavoro, all’Inps, all’Inail, alla Finanza, alla Polizia e alla Procura dopo più di un anno dalla presentazione è rimasta lettera morta. Anche qui, prove certe, dice il sindacato.
M
a all’Arcese c’è anche un altro campo dell’abuso, quello delle sottrazioni di denaro dalle buste paga dei camionisti. E la fantasia aziendale si spreca: "Dalla busta paga e liquidazione mi sono stati detratti 250 euro per danni alla Ditta" - dice Oreste Lai in una dichiarazione del 31 marzo scorso, spiegando che questa trattenuta Arcese l’ha giustificata con "alcuni viaggi in cui ho impiegato qualche chilometro in più a causa di lavori su strada, deviazioni o per uno sbaglio che può fare qualsiasi autista inesperto di strade nuove italiane o estere ".
Per non parlare di un autista tedesco, che in quattro buste paga diverse si è visto sottrarre 309, 195, 216 e ancora 216 euro. Che avrebbe combinato mai ai danni di Arcese? Non lo immaginate? Non ha fatto rifornimento nel distributore convenzionato di Maasmechelen, ma in un altro per cui aveva l’autorizzazione, visto che il viaggio si faceva di notte.
E, per finire, Arcese non paga più le cartine e gli Atlanti stradali sostenendo che questi strumenti fanno parte del bagaglio dell’autista.
S
ono così tante e tali le trattenute in busta paga e le motivazioni tirate in ballo che parlare di modo furbo e perverso per abbattere i costi del lavoro non è forse andare molto fuori dal vero. Si tratta, come si può capire, di una pressione pesantissima sul piano psicologico ed economico a cui diventa difficilissimo sottrarsi, anche perché sul piano sindacale c’è poco da stare allegri dal momento che la contrattazione aziendale ha fortemente indebolito i lavoratori di Arcese avendo accolto il principio del compenso salariale a chilometro. Di fatto il salario a cottimo con tutto ciò che ne consegue: salario individualizzato, ricatto sui camionisti più esposti o più deboli. E’ del tutto evidente che se si vuole licenziare un camionista è sufficiente fargli fare pochi chilometri: con pochi soldi e una famiglia a carico se ne va da solo. Insomma, non è proprio esagerato parlare di un contratto che apre le porte ai licenziamenti mascherati.
Qui CGIL, CISL e UIL hanno grandi colpe. Infatti mentre nel 2001 (dall’1 giugno al 31 ottobre) i compensi a chilometro furono introdotti in via sperimentale, si sono trasformati in meccanismo definitivo dal momento in cui l’Azienda ha sostenuto che, in seguito ad un suo monitoraggio, i compensi risultavano in aumento del 6,4%. E il sindacato che ha fatto ? Ha almeno controllato per vedere se tutto ciò era vero? Macchè. Sentite che cosa ha fatto mettere a verbale: "Le OO. SS. prendono atto dei dati emersi dal monitoraggio aziendale, precisando di non essere in grado di valutarne l’esattezza…". Per non parlare poi del fatto che l’ultimo contratto aziendale non esiste come tale, ma si riduce ad un verbale di incontro del 28 novembre scorso che rimanda al 31 gennaio 2004 per la definizione anche della parte economica, precisando, però, che in caso di superamento di tale data, si sarebbero applicate le tabelle chilometriche del contratto aziendale precedente. Insomma: il nuovo contratto non si fa e il cottimo continua ad essere criterio salariale.
Un’indecenza la chiamano i camionisti, una responsabilità pesante del sindacato confederale che, dicono, ha consegnato i camionisti con le mani e i piedi legati ad Arcese. Ma c’è anche un’altra domanda che si fanno i camionisti di Arcese: dove è finita l’elezione della Rappresentanza Sindacale Unitaria ( R.S.U.)?
Come si vede, molti problemi, ma tutti con un filo rosso che riconduce ad un’unica questione : quella dei diritti dei lavoratori calpestati sul piano economico e sul piano della democrazia. E’ proprio per questo che fra i lavoratori di Arcese sta crescendo la forza della Confederazione Cobas che dopo aver organizzato e sostenuto, vincendo, la battaglia per il reintegro di Petru Dragus, ha annunciato in questi giorni una forte mobilitazione nel settore delle aziende private dell’autotrasporto perché si arrivi al più presto alle elezioni delle R.S.U.
In Trentino, per ciò che riguarda Arcese, è Rifondazione Comunista di Rovereto e di Riva del Garda a lavorare alla stesura di un Libro Bianco che verrà diffuso in autunno e dove saranno raccolte e documentate le illegalità, gli abusi e le angherie di un’azienda che sembra riportarci ai tempi dei padroni delle ferriere.

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